Il mio incontro con l'arte di Maurizio Sacchini è avvenuto alla recente Triennale di Roma. Grande la mia sorpresa quando, entrando in modo più approfondito nella sua espressione artistica, mi sono trovato di fronte ad un mondo variegato e complesso, ad un percorso culturale ed esperienziale vario e interessante. Sacchini è pittore, grafico e fotografo. Dopo aver frequentato l'Istituto Statale d'Arte di Ascoli Piceno, ha da subito iniziato un lungo lavoro di studio e ricerca all'interno delle forme, dei colori e dei materiali partecipando poi a svariate manifestazioni artistiche di rilievo nazionale e internazionale. Ampio e variegato, dunque, il suo curriculum artistico e di rilievo anche il suo bagaglio critico che si avvale di numerosi interventi firmati da nomi prestigiosi e autorevoli. Ciò nonostante, Sacchini è personaggio discreto e riservato, lontano dai facili clamori e dalle facili ostentazioni così diffuse nel mondo dell'arte di ieri e di oggi. Riservato per scelta, dunque, per cercare una condizione ottimale di lavoro, per seguire in assoluta libertà e indipendenza i suoi sogni e le sue riflessioni, per evitare condizionamenti di ogni tipo ed essere fino in fondo se stesso. Riservato, certamente, ma non per questo fuori dalla storia, anzi, ben ancorato ai Movimenti d'Avanguardia Internazionali (Astrattismo, Surrealismo, Metafisica ecc) perchè colto e riflessivo, attento alle dinamiche relazionali e raffinato interprete dell'animo umano. Dietro al suo atteggiamento, pertanto, c'è sicuramente la saggezza dell'uomo, ma anche e soprattutto, la competenza del vero professionista e il giusto orgoglio di un artista che preferisce parlare di sé attraverso il proprio lavoro: un lavoro svolto con cura meticolosa, con profondità di pensiero e con una padronanza tecnica che spesso può indurre alla sorpresa, dunque per “cicli” Sacchini, (l'isola non trovata, G. M. la guerra, Flash, la mia strada) seguendo sempre il suo stile, il suo linguaggio, il suo modo di intendere e concepire la comunicazione artistica. Prende vita, in questo modo, un'espressione intensa e personale, un mondo complesso e variegato dove il colore si unisce a cose, oggetti e materiali facendosi forma e percorso, pensiero e fantasia, calando tutto quanto in atmosfere raffinate, delicate e sospese, al di fuori del tempo e dello spazio.
Il ciclo dell' Isola non trovata.
E' questa una tematica particolarmente cara al nostro artista e che ricorre spesso nelle sue opere. L'isola non trovata rappresenta, per Sacchini, una meta non raggiunta e forse non raggiungibile, un luogo ideale dove fermare il tempo e vivere in assoluta libertà. Di grande effetto estetico e scenografico i frammenti di specchio inseriti nelle immagini che diventano simbolo e metafora dell'umano esistere, della sempre presente contraddizione tra l'Essere e l'Apparire, tra l'esteriorità e l'interiorità. Non mancano poi, in queste scenografiche sequenze, sagome monumentali ed immobili come le piramidi, eloquenti dimostrazioni di grandezza ed immutabilità a cui però si contrappongono colorati palloncini ed aquiloni che si innalzano liberi nel cielo azzurro: anelito e ricerca di aria diversa e pulita, di un mondo più giusto ed umano, di una libertà vera e concreta.
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Con la stessa fantasia e creatività, l'artista entra poi nella tematica dedicata a G. M. guerra mondiale. Si tratta, anche in questo caso, di un ciclo lungo e articolato, a cui Sacchini ha dedicato tempo, lavoro e ricerca.
La guerra, argomento violento e drammatico, ingiusto e crudele, è tornato oggi di forte e inaspettata attualità con il conflitto tra Russia e Ucraina, una guerra ai confini dell'Europa che tiene tutti con il fiato sospeso per le terribili conseguenze che ne possono derivare. Ma non c'è retorica nelle opere di Sacchini, né facile ostentazione o compiacimento descrittivo.
Troviamo, al contrario, delicatezza di pensiero, leggerezza poetica, desiderio e ricerca di pace, armonia e solidarietà. Colori, luce, simboli e materiali vengono così a comporre un vero e proprio mosaico di vita fatto di antiche e nuove memorie e di esaltanti proiezioni cosmiche immerse nel tempo e nello spazio.
LUCIANO CARINI
L' Isola non Trovata IV
anno 1992.
olio, juta, frammenti di specchio e pietruzze su tela. cm. 50x70 anno 1992.
Le isole non trovate: l' indomabile anelito di Sacchini Maurizio
Il mito dell’isola è un topos sedimentato della letteratura e della cinematografia mondiale: molto frequentemente le trame di romanzi o film si svolgono su una porzione di terreno circondato dalle acque, con effetti legati alle peculiarità di un’esistenza in una condizione di estraniamento rispetto alla terraferma.
Thomas More, autore inglese del Cinquecento, tramite Itlodeo, proietta il lettore nell’idilliaco territorio insulare di Utopia, che ha un’organizzazione sociale perfetta, dove il principio di libertà è assicurato a tutti coloro che vi risiedono, in cui non esiste la privata proprietà. I suoi abitanti si dedicano per sei ore al giorno alle attività manuali, mentre trascorrono il tempo residuale della giornata studiando e riposando: una condizione auspicabile, un sogno rinascimentale di una società tutta proiettata verso la cultura, imperturbabile nella sua serenità. Ciò che viene introdotto è quindi un luogo perfetto, descritto con dovizia di particolari, tanto verosimile quanto impossibile. Si tratta infatti di uno spazio inesistente, una località de facto irraggiungibile nella sua idealizzazione.
Rimanendo nell’ambito della letteratura anglosassone, James Matthew Barrie presenta l’isola con una forte componente magica e avventurosa, in cui è possibile fare esperienza di cose extra-ordinarie, non senza una connotazione negativa: Neverland è infatti terra di perdizione, come suggerisce già il nome assegnato ai compagni di Peter Pan, i lost boys (ragazzi perduti), selvaggia e misteriosa, con un sostrato ideologico derivante da romanzi di avventura come The Coral Island (1858) di R. M. Ballantyne e Treasure Island (1883) di R. L. Stevenson: un microcosmo animato da persone in combutta tra di loro per il controllo del territorio.
In entrambe le opere menzionate i relativi protagonisti appaiono radicati e operanti nel contesto narrativo di appartenenza, seppur immaginario. Trasferendo i termini di paragone dal campo letterario a quello artistico, è interessante notare come a Maurizio Sacchini sembri invece negato un luogo d’azione, seppur egli lo ricerchi alacremente, con una inquietudine di fondo che non lo abbandona mai.
In tal senso, e sue isole non trovate sono una mèta non raggiunta, forse non raggiungibile: attraverso una simbologia ricorrente, che va a costituire il suo corollario iconologico e iconografico, l’astante avverte il trascorrere il tempo, il mutamento: alle concentricità di un cielo diurno si sostituiscono infatti quelle notturne, attraverso raffinate tonalità, diversamente illuminate. Spiccano la piramide e le figure geometriche, già ampiamente usate alchemicamente da Gino De Dominicis, geograficamente vicino all’autore in questione. Come l’arista marchigiano, anche il Maestro qui analizzato induce alla riflessione e alla contemplazione, seppur con la seguente differenza: se il primo muove all’azione nel tentativo ideale di arrestare l’irreversibilità del tempo attraverso la pratica artistica, nel repertorio del secondo è riscontrabile una evidente malinconia per l’impossibile raggiungimento di una realtà misteriosa cui rimanda l’umana esistenza.
Il Re di Spagna fece vela
cercando l'isola incantata,
però quell'isola non c'era,
e mai nessuno l'ha trovata.
L' Isola non Trovata V
olio, juta, frammenti di specchio e pietruzze su legno. cm. 84x110 anno 1993
Sprovvisto di coordinate spazio-temporali, il fruitore si avventura nel mondo interiore del pittore. Corredano le sue opere lacerti di materiale strettamente connesso al suo vissuto: la comune juta impiegata per la realizzazione di sacchi di uso alimentare è quella che vedeva nelle campagne della sua infanzia, così come la breccia che costituisce la battigia delle spiagge delle sue isole. I frammenti di specchio, oltre ad assolvere una funzione estetica, con tutti i giochi di rifrazione da esso derivante, alla ricerca di un maggiore coinvolgimento dell’astante, si caricano di significato nel loro essere passaggio tra il mondo della realtà e il mondo immaginario, secondo una contrapposizione tra l’occhio e lo sguardo, tra il vedere e il comprendere, tra l’esteriorità e l’interiorità.
Come avviene in Pistoletto e Anish Kapoor, subentra un meccanismo disorientante di moltiplicazione e scomposizione. In tale gioco lo spettatore viene coinvolto come co-soggetto, ma anche come parte attiva del fare creativo.
Raffinato e calibrato è l’equilibrio compositivo che presiede opere di siffatto concepimento: a sagome immobili, come la piramide, eloquente nel suo significato di immutabilità, fanno da contraltare palloncini e aquiloni, spesso squarciati, arsi, attraversati con prorompenza da elementi geometrici: un desiderio di libertà infranto.
Talvolta spunta una palma, dato iconografico strettamente legata all’idea di isola: ponte di collegamento tra terreno e ultraterreno (per via della sua altezza), essa è altresì simbolo di vita e di rinascita, per via delle sue capacità di sviluppo e crescita in condizioni di avversità.
Arricchiscono ulteriormente la composizione puntali diversamente orientati, quasi a voler indicare una direzione, talvolta in contrasto rispetto alle punte delle piramidi, talvolta concordi con il senso dei vertici di quelle
I piani divergenti intersecantisi tra di loro rendono tangibile un latente dinamismo, alla luce del quale la superficie pittorica diventa un serafico campo di scontri, scontri di linee come di energie. Nel loro silenzio, gli assolati paesaggi geometrici realizzati dal Maestro, portavoce di messaggi incomunicabili a parole, gridano una forte volontà di rottura.
Ivan Caccavale
Critico, Storico
e
Curatore d' arte
L'imitatore di se stesso di Tiberio Cianciotta
Uno dei test più "istintivi" è legato alla policromia prim'ancora che ai segni grafici: sollecitare la psiche attraverso il colore. Provate a "giocare" coi colori di Maurizio Sacchini; provate a svegliare l'io nascosto con la tavolozza sacchiniana, provateci. Scoprirete delle sensazioni bellissime, anche se intraducibili sul piano emozionale. Non è un gioco solo teorico se, chi scrive, l'ha provato prima con se stesso, poi con altri. Giovani, meno giovani, donne, uomini, colti, incolti, tutti insomma, si sono trovati improvvisamente dinanzi ad una realtà visiva e cromatica ora inquietante ora elettrizzante, quasi che all'interno di ciascuno si ravvivasse uno "spazio" inesplorato, si accendesse il contatto con quella parte intima con cui non riusciamo a colloquiare. Pittura con risvolti psicoanalitici quella di Sacchini? Una domanda difficile. E se è difficile la domanda figuratevi la risposta. Di sicuro il "segno". Il mondo di Sacchini è al caleidoscopio. Il suo reale si sfaccetta, turbina, svaria, non si lascia prendere vivo: ed ecco iridi pericolose che si tingono di arancio, azzurro, trasudando umori solari ('LE QUATTRO STAGIONI'), o archi futuristi che sovrastano esseri umani, insetti infinitesimali ('INCONTRO...'). E poi alcune citazioni narrative dei maestri americani del Novecento ('PIOGGIA ACIDA'), un omaggio al Dalì surrealista ('SPIRALE 30'), realtà filamentose al microscopio, meduse e Big Bang ('FLASH'). Un interrogarsi incessante sulle possibilità del vedere...Ingrandimenti cellulari('PENSIERI NOTTURNI') che BBY volte esplodono in rose futuriste('FUORI TESTA').
Il linguaggio di Sacchini è un linguaggio composito, spesso discontinuo, ma tormentato come un occhio cieco.
Fuori Testa
1988
Olio e vinavil su tela cm. 40 x 50
G. M. XIV
92
cm. 70x100
In un impulso estremo i segreti insondabili del tempo
di Alvaro Valentini.
La ricerca pittorica di Maurizio Sacchini, sognata e meditata, rivela l'incanto primigenio del simbolo, filtrato nella luce e nel colore. In questa dimensione, divisa fra logica e fantasia, l'autore indaga gli effetti di ripetitività e simultaneità degli elementi cinetico-visivi. L'operazione artistica, mutevole a seconda delle angolazioni prospettiche, rivela l'impronta gestuale e segnica, che riesce a rendere dinamica l'intera superficie in virtù del movimento ritmico continuo o degli input visivi emergenti dalla materia pittorica stessa, come tanti segni in sospensione dei segreti moti dell'animo. Gli effetti plastico-luminosi dei rilievi vengono ad assecondare la propensione dell'autore all'astrazione, a suggestioni di tipo emotivo e psichico. Sacchini fonda la sua arte su una concezione spaziale atemporale, intesa come immensa riserva di energia cosmica. In questo contesto si cala la capacità creativa dell'autore, proteso a ripensare la realtà nell'ottica della rifrazione o del frammento. Come per catturare in un impulso estremo i segreti insondabili del tempo. E i dipinti, specie quelli materici, rivelano come d'incanto una stupefacente sensazione di fondo, mirabilmente accorpata ad un'infinità di piccolissime pietruzze sfaccettate, raccolte e fuse nel bagno amniotico di un cromatismo articolato, che richiama tendenze surreali ed esiti materici dell'informale. Ne fuoriesce un mosaico suggestivo e composito, pulsante di mondi diversi e concatenati, di infiniti nuclei dialettici, depositari di antiche memorie e di esaltanti proiezioni cosmiche. L'impaginazione stessa, segnata da simboli dinamici e figure geometriche, è sottesa a una visione spaziale della realtà, un connotato pittorico che travalica l'immanente per farsi voce e scrittura dell'universo.
G.M. III
1990 Olio, pietruzze, sabbia e vinavil su tela cm. 100x70
La meraviglia del colore e della luce
di Lucio Del Gobbo
La meraviglia del colore e della luce sembra la condizione prevalente e permanente in cui si trova immersa la ricerca espressiva del giovane Maurizio Sacchini. Una meraviglia che non esclude l'artista da altri entusiasmi che il reperimento di una espressività sempre più consona alle proprie sensazioni e pensieri gli procura, ma che certamente appare come elemento caratterizzante della sua produzione. È stato notato, ed è pur vero, che la linea ed il segno, con applicazioni soprattutto nel senso della geometria e della prospettiva, aprono le visioni di Sacchini ad una spazialità sorprendente, proiettandole, o meglio, introducendole in dimensioni extratemporali e metafisiche, ma questo stimolo alla liberazione verso "altri" territori o, se vogliamo ammettere, verso una dimensione di spiritualità, ci sembra soprattutto sorretta nelle opere dall'effetto cromatico e luminescente della materia. Del resto, l'infanzia artistica di Sacchini, quella della prima sperimentazione, non a caso si è esercitata sulle potenzialità espressive della materia attraverso linguaggi senza forma e senza impianto disegnativo; proprio per saggiare al limite quel tipo di possibilità, dimostrando implicitamente, con chiarezza, la direzione della sua ricerca. Abbiamo usato l'aggettivo "giovane" per quest'artista alla soglia dei quarant'anni, ed abbiamo insistito a considerare le fasi giovanili della sua storia artistica, perché la seconda condizione caratterizzante del suo lavoro ci sembra consistere in quella persistenza di una situazione di aperta e libera sperimentazione, di una ricerca cioè che si esercita come condizione "in progress", non escludendo anzi proponendo una necessità di eclettismo. Ed è questa un presupposto di giovinezza che non tanto si rapporta agli anni, all'età fisica, quanto a uno stato di curiosità e ad un'ansia di scoperta che sono appunto caratteristiche giovanili. Questi presupposti ci sembrano fondamentali per la definizione di un'esperienza complessa ed ormai sufficientemente lunga che nella sua globalità si è esercitata all'insegna della polivalenza e senza escludere una utilità applicativa nel disegno come nella grafica. L'opera che meglio dimostra le tendenze di ricerca sopra accennate ci sembra essere "SPIRALE 20"; in essa risulta evidenziato l'uso luminescente del colore e, nella contrapposizione tra geometrismo e linearismo lirico, appare emblematizzata quell'ansia di indipendenza e di sperimentazione a
cui si è fatto cenno.
SPIRALE 20
1988
olio e vinavil su tela cm. 50x40
La pupilla è il nero assoluto
di Giovanni Prosperi
Maurizio Sacchini sa che la pupilla è il nero assoluto. A volte per non soffrire la trasforma in forme che non le fanno vedere niente.
Sacchini ha un sanissimo dubbio sulla materia dell'iride: con quale colore posso vedere la luce? La risposta impazzisce. I suoi acquerelli sono il suo occhio sinistro nel battere della palpebra dopo che il sole l'ha accecato per un attimo:Polaroid naturali in completa assenza della natura. L'occhio destro è sempre aperto, controlla la discesa per deviazione epicurea dell'atomo, a volte uno, a volte tre, come se non bastasse tutto ruota attorno ad un triangolo dal vertice in basso la caverna metafisica sorretta dalla caverna fisica che deve il suo sostenimento alla curva base che chiudendosi nel cerchio ruota nell'immobilità perfetta dell'immagine fino a far uscire dagli occhi altre forme per un logico tributo all'iride. Di contro la pupilla di Sacchini acceca l'iride nel suo autoritratto (SOLITUDINE ALLO SPECCHIO). Sacchini attende, guarda verso l'alto e non è timidezza ma attenzione:
chi ti guarda conta poco, conta chi si aspetta di guardare.
SOLITUDINE ALLO SPECCHIO
1988 cm. 70x100